L’Akita: il cane giapponese per eccellenza

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Anche se non se ne parla mai tanto, oltre al nostro Paese, anche quello del Sol Levante ha una certa tradizione canina piuttosto “rilevante”.

Tra i vari esemplari ci sono infatti fidi quattro zampe come lo Shipa, l’Hokkaido, il Tosa, il Kishu, lo Shikoku e lo Spitz Giapponese.

Particolari sia nel carattere che nelle forme, soprattutto per quanto riguarda quella degli occhi, sono degli animali con una storia molto antica sulle spalle e si sono ben integrati nella tradizione nipponica.

Tra tutti questi cani spicca poi l’Akita, un esemplare che in molti potranno ricordare associandolo al remake di “Hachiko – Il tuo migliore amico” diretto da Lasse Hallström ed interpretato da Richard Gere. Vediamo dunque perché questo particolare tipo di cane è così famoso.

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Le antiche origini dell’Akita

Con un’altezza al garrese di circa 70 per i maschi e 65 centimetri per le femmine, e con un peso massimo rispettivo di 55 e 45 chili, il fedele Akita proviene dall’isola di Honshu e calca il suolo giapponese da tempo immemore tanto da essere presente anche nelle credenze e nella tradizione nipponica.

Se un samurai moriva senza onore, infatti, sarebbe tornato sulla Terra sotto forma di Akita per poter morire con onore e dignità trovando finalmente riposo.

Mitologia a parte, l’Akita è stato sempre impiegato come cane da caccia per cervi, cinghiali e persino orsi oltre che come cane da guardia e da combattimento.

Questo tipo di cane era quindi impiegato per gli usi più disparati ed i suoi padroni variavano dal samurai che lo portava con sé nell’accampamento fino ai membri dello shogunato che lo facevano vivere nel lusso e nello sfarzo.

La tenera e triste storia di Hachiko (1923 – 1935)

Siamo nel 1923 ed un tenero abbaio scuote una madre spossata dal parto di una cucciolata. È quello del piccolo Akita di nome Hachiko proveniente dalla prefettura omonima.

Dopo un anno circa viene regalato ad una giovane donna, figlia del professor Hidesaburō Ueno della prestigiosa Università di Tokyo. Fu proprio l’uomo a dargli quel curioso nome, una storpiatura del kanji che indica il numero 8, per via della forma curiosa delle zampe del piccolo cane.

Dopo un po’ di tempo la figlia si sposò e non poté più tenere il cane lasciandolo al padre. Il professore ormai si era molto affezionato all’animale e viceversa tanto che i due erano inseparabili. L’uomo prendeva tutti i giorni il treno dalla stazione di Shibuya per andare al lavoro ed Hachiko era lì accanto a lui per accompagnarlo ed aspettarlo.

Verso la fine del maggio del 1925 il professor Ueno purtroppo morì nell’università a causa di un infarto e non fece mai ritorno a casa. Per circa dieci anni il fido Hachiko rimase ad aspettarlo alla stazione di Shibuya dove morì di vecchiaia nel marzo del 1935.

Una storia che toccò tutta la nazione facendolo diventare un simbolo incrollabile di fedeltà e speranza tanto che, ancora prima della sua morte, venne eretta una statua in suo onore.

Paradosso piuttosto curioso, è stato proprio sotto a quella statua, lo stesso punto dove aspettava il padrone, che Hachiko venne trovato in fin di vita.